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Newsletter Aprile 2024

Fabrizio Boldrini Apr 1st, 2024 Commento

utplutihi
TEMA FISICO DEL MESE: IL LOTO A TERRA E SOLLEVATO

“Ogni avversità è come il fango – ci sono sempre dei semi di loto che aspettano di germogliare”. Amit Ray

La posizione del loto (Padmasana), è una delle posizioni più iconiche dello yoga anche se, in sostanza, è un modo piuttosto diffuso in oriente per sedersi.
Si tratta di una postura seduta a gambe incrociate che prende il nome dal fiore di loto, una pianta acquatica che affonda le sue radici nel fondale fangoso di stagni e acquitrini, si eleva sopra l’acqua e apre si suoi fiori che galleggiano, delicati e maestosi al contempo, senza bagnarsi e senza venire contaminati dalla palude sottostante.
Il fiore di loto possiede calma, stabilità e bellezza. Per questi motivi, esso rappresenta la purezza del corpo, della parola e della mente. Simboleggia l’essere completamente collegato alla terra e l’aprirsi verso il divino. Rappresenta l’evoluzione spirituale dell’essere umano, dal fango alla luce e una metafora del processo di elevazione dello yoga, in quanto esso permette di aprirsi verso il cielo, ma, allo stesso tempo, di rimanere radicati a terra. Padmasana è una postura calmante e stabilizzante; richiede forza, flessibilità e capacità di lasciare andare le tensioni.
La posizione del loto aiuta a mantenere una postura corretta mentre siamo seduti e l’allineamento della colonna (naturalmente se non crea dolore, soprattutto all’articolazione del ginocchio e della caviglia). Ciò facilita la respirazione profonda, necessaria al raccoglimento e alla meditazione. Come per molte altre posizioni, lo scopo non è quello forzare il corpo ad assumere una forma, ma l’obiettivo è piuttosto di esplorare con gentilezza come questa nuova forma ci aiuti a percepire il corpo ed i suoi limiti.
Nella sua versione sollevata da terra (Utpluthih), il loto viene “sradicato” elevandosi ulteriormente. Questo asana diviene così una posizione di equilibrio sulle mani che richiede un lavoro aggiuntivo di forza delle braccia per continuare a mantenere la sua stabilità.
Le qualità fisiche necessarie ad assumere questa posizione sono state preparate dalle pratiche dei mesi scorsi sulle anche e per lo sviluppo della forza necessaria. Proseguiremo questa esplorazione con gentilezza e costanza per apprezzare il lavoro compiuto fino ad oggi con una speciale attenzione alle articolazioni messe sotto pressione.
TEMA MENTALE DEL MESE: IL NON FARE DELLA MENTE

In un atteggiamento di silenzio l’anima trova il percorso in una luce più chiara, e ciò che è sfuggente e ingannevole si risolve in un cristallo di chiarezza.
Mahatma Gandhi

La pratica dello yoga è una disciplina che ci mette davanti ai nostri limiti. Ci capita spesso di percepire ciò che “non va”: vorremmo essere diversi o fare le cose in modo diverso. Questo porta in noi un senso di mancanza, di difetto che impedisce di sentirci “completi”.
Nel lungo percorso, però, una pratica costante dovrebbe portarci a sentire che “andiamo bene così come siamo”. Per farlo abbiamo bisogno che la mente si calmi e diventi silenziosa per portarci in quello spazio interno di esplorazione in cui tutto è semplicemente ciò che è. Non possiamo imporre la calma alla mente, dobbiamo lasciarla arrivare rimanendo come un campo aperto e ampio, accettando ciò che appare momento per momento e colorando l’ascolto con il desiderio sincero di volerci bene.
In questo modo è possibile coltivare uno stato di unione e armonia con qualcosa di più grande. Qualcosa che è già noi, ma è più grande di noi. Qualcosa che siamo già, ma ci siamo dimenticati di essere. È cercare al nostro interno il punto di quiete, il punto da cui nasce la nostra sensazione di non essere minacciati, di essere comunque supportati e collegati con il senso della vita.
Per poterlo percepire e riconoscere, è necessario che la mente sia tranquilla, calma, silenziosa. Lo possiamo conoscere solo quando siamo presenti, profondamente nel QUI ed ORA, nell’ADESSO.
IL NON FARE DELLA MENTE, è la riscoperta di CHIT, la consapevolezza nella forma più pura che non viene modificata dalle attività della mente, ma è mera percezione. La parte di noi che conosce e lascia tutto come è; la parte che è in contatto con il substrato di armonia e quiete che regge e governa la vita e che ci permette di provare fiducia nel mondo, nel suo equilibrio e nella sua armonia di fondo che ci sostiene.
Dobbiamo imparare ad ascoltare, a NON FARE con il corpo e con la mente. Dobbiamo abbandonare l’utilizzo delle nostre forze personali per imparare ad accedere a questo equilibrio profondo e naturale. Allora quello che facciamo diventa espressione della parte più libera e profonda di noi.
Il non fare della mente non è autoindotto, è frutto di un corpo rilassato e di una mente silenziosa. È nel silenzio che possiamo essere aperti e attenti.

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Fabrizio Boldrini

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